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Maltrattamenti in famiglia: i tempi di reazione della persona offesa in merito alla denuncia – Nota a Cass. 44427/2022

Maltrattamenti in famiglia

Dott.ssa Rossella Di Martino

Sintesi
In presenza di un quadro probatorio pienamente affidabile, fondato sulle dichiarazioni della persona offesa, ancorché confermate da soggetti estranei alla coppia, la denuncia tardiva non esclude la configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia p. e p. dall’art. 572 c.p.

Il fatto
Con ricorso per Cassazione, un uomo impugna la sentenza della Corte d’appello di Cagliari che confermava la condanna in primo grado per il reato di maltrattamenti in famiglia, ai danni della moglie, previsto dall’art. 572 c.p. , aggravato dalla presenza del figlio minore ex art. 61, n. 11-quinquies c.p. .

In particolare, la donna dichiarava di aver subito maltrattamenti tali da generare un clima di grave ed abituale vessazione nel contesto familiare.

Solo dopo un determinato lasso di tempo, tuttavia, si decideva a riferire tali condotte alle Autorità competenti.

Il ricorrente, pertanto, impugna la sentenza di secondo grado censurando che, a suo dire, la Corte territoriale avrebbe motivato la decisione esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa e senza valorizzare che la denuncia/querela fosse intervenuta a distanza di molto tempo dai fatti contestati.

Infine lo stesso contesta la mancata assunzione della testimonianza del figlio (all’epoca minorenne) che avrebbe potuto smentire di aver assistito personalmente ai maltrattamenti e, quindi, escludere la configurabilità dell’aggravante ex art. 61, n. 11-quinquies c.p.

La decisione
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 44427 del 04.10.2022 supera la tesi difensiva -secondo cui la condanna si sarebbe fondata esclusivamente sulle affermazioni della persona offesa – valorizzando le plurime conferme delle dichiarazioni della donna da parte di soggetti terzi rispetto alla famiglia (in particolare il maresciallo e il responsabile del centro antiviolenza).

Sul punto, peraltro, la giurisprudenza di legittimità (si veda anche Cassazione n. 2102/2022) è ormai consolidata nel ritenere che alle dichiarazioni della persona offesa non si applicano le regole fissate dall’art. 192 co. 3 c.p.p. (sulle dichiarazione rese dal coimputato o dall’imputato in procedimento connesso) per cui possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato.

La Suprema Corte ha, tuttavia, precisato che, a tale fine, occorre un vaglio rinforzato di attendibilità della vittima.

La Corte dimostra, pertanto, che, nei delitti contro la famiglia, le testimonianze di soggetti estranei al contesto familiare – caratterizzate, pertanto, da profili di terzietà rispetto alla coppia – sono determinanti per confermare quel giudizio di necessaria attendibilità delle affermazioni della persona offesa.

Il complessivo ragionamento è assolutamente coerente con il fatto che il reato di maltrattamenti in famiglia è integrato da condotte che si verificano in contesti privati e, quindi, al di là dei referti medici, le dichiarazioni della persona offesa sono spesso le uniche fonti di prova che possano suffragare la colpevolezza dell’imputato.

Ed ancora, con la sentenza in commento, i Giudici di legittimità respingono la censura del ricorrente secondo cui il lasso temporale intercorso tra i maltrattamenti e la denuncia, escluderebbe la sussistenza della condizione psicologica di soggezione indispensabile per configurare il delitto di maltrattamenti in famiglia.

Posto che, come opportunamente dedotto, di recente, dalla giurisprudenza di legittimità, “per la configurabilità del reato di maltrattamenti non è necessaria una totale soggezione della vittima perché la norma, nel reprimere l’abituale attentato alla dignità della persona, tutela la normale tollerabilità della convivenza” (Cass. n. 809/2022);

secondo la Corte di Cassazione – con la sentenza in commento –questo aspetto non è dirimente in quanto è molto frequente che le vittime denuncino non in modo tempestivo gli atteggiamenti lesivi e nocivi dei loro aggressori, autoconvincendosi che così facendo possano tutelare il benessere dei figli e della famiglia nonché per ragioni economiche e per paura quindi questo non preclude l’attendibilità delle sue dichiarazioni.

Con ciò ha ritenuto che la tardiva denuncia della donna non fosse un elemento idoneo a insinuare un ragionevole dubbio circa la commissione del reato.

Sul punto non può essere taciuto che, d’altronde, il reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p. è procedibile d’ufficio e, dunque, prescinde da una formale querela della persona offesa.

Da ciò si deduce che se l’interesse dell’ordinamento alla repressione del reato prescinde da un atto formale della vittima, evidentemente anche la colpevolezza dell’imputato non può essere del tutto condizionata dal tempo intercorso tra i fatti e la loro comunicazione alle Autorità.

Naturalmente – come opportunamente rilevato anche dai giudici di legittimità – occorre che il quadro probatorio sia pienamente affidabile.

Ed è proprio l’esaustività dell’impianto probatorio che giustifica, secondo la Cassazione, la scelta della Corte territoriale di non interpellare il figlio minorenne all’epoca dei fatti.

Secondo i Giudici di legittimità, infatti, le eventuali dichiarazioni del figlio non avrebbe garantito un apporto conoscitivo su fatti ulteriori e diversi rispetto a quelli per i quali i giudici di merito hanno già ritenuto superato ogni ragionevole dubbio.

Per tutto quanto esposto, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’uomo al pagamento delle spese processuali.

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Il principio di proporzionalità nelle sanzioni disciplinari in materia di pubblico impiego – il caso di un Professore destituito per aver intrapreso una relazione con un’allieva – Nota a Cass. N. 30955/2022

Il principio di proporzionalità

Dott.ssa Rossella Di Martino

Sintesi

Per la Corte di Cassazione, Sez. Lav., è ragionevole e proporzionata la sanzione della destituzione irrogata al docente che intrattiene una relazione sentimentale e sessuale con una propria studentessa.
Tale condotta, infatti, integra una grave violazione dei doveri inerenti alla funzione e determina la rottura del rapporto di fiducia con l’istituto scolastico.

Il fatto

Un docente in servizio presso un Istituto scolastico superiore intratteneva, per un lungo periodo, una relazione sentimentale e sessuale con una propria studentessa minorenne.
L’Istituto scolastico, pertanto, avviato il procedimento disciplinare, disponeva nei suoi confronti la sanzione della destituzione e l’esclusione dall’accesso futuro a qualsiasi forma di pubblico impiego.
Avverso il suddetto provvedimento il docente proponeva ricorso innanzi la Sezione Lavoro del Tribunale di Milano deducendo la sproporzione, irragionevolezza e incongruità della sanzione irrogata.
Il Tribunale, tuttavia, con sentenza sentenza confermata dalla Corte d’appello di Milano, rigettava il gravame.
Di talché il docente ricorreva per Cassazione contestando alla Corte territoriale di non aver considerato – nel valutare favorevolmente la sanzione espulsiva – alcune circostanze fattuali determinanti (tra cui che l’alunna avesse compiuto la maggiore età nello stesso anno scolastico, che la madre fosse consapevole della relazione, che la relazione fosse scaturita da un iniziale interessamento della minore e che la stessa fosse consenziente e ricambiasse i sentimenti del docente).
Secondo la prospettazione del ricorrente il provvedimento disciplinare ha violato l’art. 2106 c.c. , nonché gli artt. 496 e 498 del D.Lgs. n. 297 del 1994 (a cui rinvia il CCNL comparto scuola e comparto istruzione e ricerca), che dispongono l’applicazione delle sanzioni disciplinari secondo una scala di gradualità.
L’Amministrazione, infatti, non avrebbe dovuto disporre la destituzione ex art. 498 del D.Lgs. n. 297 del 1994, ma la più “morbida” sanzione della sospensione e dell’utilizzazione in compiti diversi da quelli inerenti alla funzione docente prevista dall’art. 496 del D.Lgs. n. 297 del 1994.
Occorre premettere che nel pubblico impiego (anche contrattualizzato) per valutare la congruità del licenziamento per giusta causa – come si evince dalla più recente giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte cost. n. 123 e n. 188 del 2020) e di legittimità (cfr. Cassazione civile, Sez. lav., n. 19181/2022; n. 17597/2022; n. 5706/2017; n. 18858/2016) – il punto di partenza ineliminabile è il giudizio di riferibilità delle condotte addebitate al lavoratore alla fattispecie normativa nonché alle clausole contenute nella contrattazione collettiva.
Poiché la sanzione del licenziamento costituisce una extrema ratio e non può rappresentare un automatismo, tuttavia, il giudice è sempre tenuto a effettuare anche un giudizio di gravità e proporzionalità della sanzione valutando la portata oggettiva (gravità del fatto) e soggettiva (intensità del profilo intenzionale) della condotta rispetto alle circostanze del caso concreto.

La decisione

In linea con le suddette coordinate ermeneutiche, secondo la Corte di Cassazione in esame, con sent. n. 30955 del 20.10.2022 , la Corte territoriale ha correttamente sussunto il fatto concreto all’interno dell’art. 498 co 1, lett. a) D.Lgs. n. 297 del 1994 che dispone la destituzione in caso di “atti che siano in grave contrasto con i doveri inerenti alla funzione.
Tale fattispecie, infatti, si distingue nettamente dall’art. 496 D.Lgs. n. 297 del 1994 che prevede, invece, la sanzione conservativa della sospensione in caso di specifici atti che – pur se di particolare gravità ed integranti reato – “non conformi ai doveri specifici inerenti la funzione docente”, denotino “l’incompatibilità del soggetto a svolgere i compiti del proprio ufficio nell’esplicazione del rapporto educativo”.
Se, quindi, per applicare la destituzione è necessaria una violazione grave e diretta dei doveri inerenti la funzione, la sanzione conservativa si fonda, invece, su un semplice giudizio di “incompatibilità” tra il fatto di reato e la funzione docente.
Fermo restando la corretta sussunzione del fatto nella fattispecie astratta (il punto accertamento), la Corte d’appello ha, infine, correttamente esaminato le circostanze del caso concreto da cui ha desunto l’oggettiva gravità (in particolare l’età minore della alunna, la durata della relazione, il fatto che essa fosse stata riallacciata dopo l’intervento della madre dell’allieva, la consumazione di rapporti sessuali) e l’intenzionalità della condotta.
Orbene stante l’oggettiva gravità della condotta e la volontarietà del comportamento del docente ha, in definitiva, valutato favorevolmente l’operato della sentenza impugnata rigettando il ricorso.

 

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Riforma della giustizia penale: le principali novità

Riforma della giustizia penale

Dott.ssa Rossella Di Martino

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo n. 150 del 10.10.2022, coordinato dal Ministro della Giustizia, Marta Cartabia, entrato in vigore dal 30 dicembre 2022, in attuazione della legge delega n. 134 del 27 settembre 2021.

Il decreto, composto da novantanove articoli, racchiude una disciplina organica e lineare che propone diversi obiettivi (già indicati nel P.N.R.R.), tra cui, la digitalizzazione della giustizia penale e lo sviluppo del processo penale telematico, l’accelerazione dei tempi e la riduzione del numero dei procedimenti, la riforma del sistema sanzionatorio e la promozione della c.d. “giustizia riparativa”.

Una vera “svolta” che, almeno sulla carta, sembra fornire un passo decisivo per combattere lo stato di inefficienza della giustizia italiana.

Tra gli interventi forse più attesi da parte degli “addetti ai lavori” spicca l’introduzione del processo penale telematico.

Su questo aspetto è stata prevista la possibilità di depositare telematicamente atti, documenti, istanze e memorie, garantendo, così, maggiore integrità, autenticità, e, soprattutto, accessibilità e celerità nell’effettuare notifiche presso il domicilio digitale.

Verso la medesima finalità di “transizione digitale” è stata introdotta anche la possibilità di acquisire la prova dichiarativa mediante registrazione audiovisiva e la possibilità di partecipare a distanza alle udienze, attraverso collegamento audiovisivo.

Quello che, per alcuni, rappresenta uno “schiaffo” al principio di oralità e immediatezza del processo penale, per molti, invece, rappresenta una provvida riforma che finalmente investe il processo penale.

Questo aspetto della riforma, dato l’impatto avuto sul trattamento dei dati personali, ha ricevuto il parere favorevole dell’Autorità Garante dei dati personali , il quale aveva, tuttavia, suggerito maggiori garanzie per i dati di tutti coloro che sono coinvolti nel procedimento penale.

Sul punto rappresenta una risposta concreta la previsione, prevista dall’art. 41, comma 1, lett. h) del suddetto decreto, che, nella parte delle “Disposizioni di attuazione del codice di procedura penale”, ha introdotto l’art. 64 ter rubricato “diritto all’oblio degli imputati e delle persone sottoposte ad indagini” secondo cui la persona che ha beneficiato di una sentenza di proscioglimento, non luogo a procedere ovvero un provvedimento di archiviazione può chiedere che sia disposta la de-indicizzazione, sulla rete internet, dei dati personali, riportati nel provvedimento.

Un’innovazione piuttosto attesa, viste le implicazioni recenti del diritto all’oblio (si veda il caso Google-Spain del 2014), ma che, senza dubbio, lascia ancora aperti numerosi spazi di riflessione circa il difficile rapporto tra riservatezza e diritto di cronaca giornalistica.

Allo scopo di risolvere il problema dell’eccessiva durata dei processi – che ha portato, in più occasioni, alla condanna dell’Italia da parte della Corte EDU per violazione dell’art. 6 CEDU – la riforma ha cercato di accelerare le diverse fasi del procedimento penale.

In particolare ha ridefinito i termini di durata delle indagini preliminari, a seconda della gravità del reato, modificando in senso restrittivo la disciplina della proroga.

Ha introdotto forme di controllo giurisdizionale sull’inerzia del Pm al momento dell’iscrizione della notizia di reato, al termine delle indagini o dopo la notifica dell’avviso ex art. 415 bis c.p., unitamente a un meccanismo di Discovery completa degli atti di indagini laddove il Pm non decida per l’esercizio dell’azione penale entro i termini i previsti.

A ciò si aggiunge un intervento in materia di notificazioni che ha individuato, per l’imputato non detenuto, la possibilità di effettuare personalmente solo la prima notificazione mentre per le successive è prevista la consegna al difensore di fiducia o nominato d’ufficio.

Sulla stessa scia si inserisce la riformulazione della regola di giudizio per l’archiviazione e per la sentenza di non luogo a procedere il cui presupposto dovrà essere individuato nella circostanza che gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna o applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca.

Di grande impatto è stata inoltre la riforma dell’art. 550 c.p.p. che dispone la citazione diretta a giudizio per delitti o contravvenzioni puniti con la pena non superiore al massimo a quattro anni.

É stata inoltre prevista un’udienza di comparizione pre-dibattimentale che può terminare con la sentenza di non luogo a procedere e, rispetto al regime delle impugnazioni, resta centrale la decisione in camera di consiglio senza partecipazione delle parti che, tuttavia, possono chiedere di parteciparvi.

Infine la riforma mira a garantire la certezza e celerità delle iscrizioni, anche a tutela del soggetto indagato, introducendo la possibilità per la parte di richiedere al giudice l’accertamento della tempestività dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato e l’eventuale retrodatazione della stessa nonché l’introduzione di uno specifico rimedio (l’opposizione al decreto di perquisizione emesso dal pubblico ministero) per i casi nei quali la perquisizione non abbia avuto esito in un sequestro.

Dopo anni di attesa viene infine introdotto un rimedio “aperto” in base all’art. 628 bis c.p.p. per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della CEDU.

Speculare è stato, poi, l’obiettivo di deflazionare il contenzioso attraverso l’estensione dei reati procedibili a querela e l’ampliamento dell’ambito applicativo della causa di non punibilità in senso stretto prevista per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131 bis c.p. dando rilievo, a differenza della precedente formulazione, anche alla condotta susseguente al reato ai fini della valutazione della tenuità dell’offesa.

A tale scopo, inoltre, è stata introdotta una riforma organica delle “pene sostitutive delle pene detentive brevi” applicabili all’esito del giudizio di cognizione in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a quattro anni (semilibertà e detenzione domiciliare) o tre anni (lavoro di p.u.) o un anno (pena pecuniaria).

Il legislatore ha dimostrato di valorizzare l’istituto della giustizia riparativa, in linea con il disposto costituzionale dell’art. 27, comma 3 Cost.

Non a caso la stessa è stata espressamente definita come “ogni programma che consente alla vittima, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore” ex art. 42, precisando, tra l’altro, che deve comunque conformarsi a vari principi, tra i quali la partecipazione attiva e volontaria delle parti, il coinvolgimento della comunità, la riservatezza, l’indipendenza dei mediatori ex art. 43 .

I programmi possono concludersi con esiti riparativi simbolici o materiali per cui l’autorità giudiziaria valuta lo svolgimento del programma e i suoi eventuali esiti per le determinazioni di competenza anche ai fini della remissione della querela e della sospensione condizionale.

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Google e il diritto all’oblio nei motori di ricerca – Nota a Cass. 34658/2022

Google e il diritto all’oblio nei motori di ricerca

Dott.ssa Rossella Di Martino

Sintesi:

Con la recentissima sentenza n. 34658/2022 la Corte di Cassazione ha ribadito che in materia di trattamento dei dati personali, Google deve garantire la rimozione degli URL riferibili all’interessato non soltanto nei paesi dell’Unione Europea ma anche oltre i confini euro-unitari.

Il fatto:

La vicenda in esame trae origine dall’accoglimento di un ricorso del Garante della Privacy italiano per la rimozione degli URL non solo europei ma anche extra europei attraverso la cosiddetta procedura di global delisting operando un bilanciamento tra la riservatezza e la diffusione della notizia secondo gli standard di protezione italiani.

Il ricorrente lamentava che il diritto all’oblio, nel suo caso, era stato pregiudicato “dalla perdurante diffusione nel web di notizie non aggiornate circa una vicenda giudiziaria penale in cui era stato coinvolto e dalla quale era stato assolto tramite decreto di archiviazione delle indagini preliminari per infondatezza della notizia di reato”.

Ai sensi dell’ art. 152 D.Lgs. 196/03 il gestore del motore di ricerca chiedeva che fosse annullato il provvedimento del Garante: il Tribunale, applicando la Direttiva 95/46/CEE accolse il ricorso solo in ordine alla rimozione dalle versioni nazionali del motore di ricerca.

Avverso tale sentenza, il Garante proponeva ricorso per Cassazione per tre motivi: il primo riguardava la violazione della normativa che consente un’applicazione extraterritoriale delle norme unionali e nazionali; il secondo motivo di doglianza prevedeva la violazione delle disposizioni relative al criterio di bilanciamento degli interessi; il terzo motivo riguardava la contraddittorietà della motivazione in merito alla sentenza che affermava la mancata sufficiente prova della lesione subita.

La Corte i primo luogo afferma che il diritto all’oblio deve essere bilanciato con il diritto della collettività all’informazione oltre che con il diritto del soggetto a “non vedersi reiteratamente attribuita una biografia telematica diversa da quella reale e costituente notizie ormai già superate”.

Inoltre, per quanto concerne l’estensione territoriale, il diritto dell’UE non osta a che l’autorità di controllo possa chiedere al gestore una deindicizzazione su tutte le versioni del proprio motore di ricerca.

Con l’ordinanza in esame la Corte accoglie dunque il ricorso affermando che la tutela del diritto all’oblio consente, d’accordo con le norme UE, all’Autorità Giudiziaria di ordinare ai vari motori di ricerca una deindicizzazione globale di contenuti non più attuali e dannosi.

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Ostentare il tradimento è maltrattamento? Nota a Cass. 41468/2022

Ostentare il tradimento

Dott.ssa Rossella Di Martino

Sintesi:

Ostentare al partner il tradimento configura il reato di maltrattamenti contro familiari previsto dall’ art. 572 c.p.

Il fatto

La Corte d’Appello condannava il ricorrente, il quale sosteneva di non essere tenuto all’obbligo di fedeltà nei confronti della compagna convivente, in quanto, con i suoi comportamenti, egli contribuiva ad arrecare danno alla stessa perpetuando un comportamento insopportabile ai danni della persona offesa la quale vedeva venir meno l’obbligo, tra gli altri, di reciproco rispetto.


La Corte di Cassazione, con sentenza 3 novembre 2022, n.ro 41568 ha affermato che in questi casi è configurabile il reato di cui all’art. 572 c.p., posto che il convivente era tenuto a rispettare l’obbligo di fedeltà e che dunque l’ostentazione di un comportamento contrario a detto obbligo può configurare violenza o ingiuria e dunque integrare il reato di maltrattamenti contro familiari.

Proprio l’art. 572 c.p., nella sua attuale formulazione, è il risultato di diversi interventi legislativi confluiti nella L. 172/2012 la quale, non solo ne ha modificato la rubrica che prima faceva riferimento ai “maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli” inserendo nel novero dei possibili soggetti passivi del reato anche i conviventi del maltrattatore.

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Compravendita di criptovalute ed autoriciclaggio – nota a Cass. 27023/2022

Compravendita di criptovalute

Dott.ssa Rossella Di Martino

Sintesi:

L’utilizzo del denaro proveniente dalla commissione di truffe per l’acquisto di criptovalute tramite l’effettuazione di una serie di bonifici bancari con i quali le somme di provenienza illecita sono impiegate per comprare moneta virtuale: integra il delitto di autoriciclaggio.

Il fatto

Nel caso di specie, i giudici di merito cautelare avevano rilevato che la rilevanza è data dal luogo di impiego del denaro – provento delle truffe a prezzo di acquisto di bitcoin – ove confluivano i conti correnti accessi online tramite piattaforma informatica; esso si presta ad agevolare condotte illecite, poiché è possibile, in questo caso, garantire un alto grado di anonimato.

Tra l’altro, quest’ipotesi di truffa online ex art. 640 ter c.p. configura l’aggravante della minorata difesa con riferimento all’approfittarsi delle condizioni del luogo quando l’autore del reato abbia tratto, consapevolmente e in concreto, specifici vantaggi dall’utilizzazione dello strumento della rete esplicitando con completezza motivazionale le ragioni di gravi indizi di colpevolezza con riferimento di detta aggravante – vedi Cass. 28070/2021

La sentenza della Corte di Cassazione, n. 27023/2022 qui in commento, mette in rilievo l’impressionante serialità degli episodi, le abilità tecniche non comuni per realizzare i furti d’identità strumentali alle truffe, la predisposizione di mezzi per realizzare altri delitti, la capacità di imprimere ai profitti illeciti una sorte destinata ad assicurare che i rischi siano compensati da adeguati benefici – tutti elementi che rendono concreto ed attuale il pericolo di recidiva escludendo che in ambiente extra-murario l’imputato possa astenersi dalle condotte delittuose in relazione ai reati commessi da remoto con uso spregiudicato dei mezzi informatici.

Dette condotte integrano il reato di auto-riciclaggio ex art. 648 ter 1 c.p. .

Osservano i giudici di legittimità che le criptovalute possono essere ricondotte nell’ambito delle attività speculative in quanto l’acquisto implica il tentativo di raggiungere un utile anche assumendosi il rischio di considerevoli perdite.

Inoltre il trasferimento delle somme non appena accreditate mai riscosse, attraverso disposizioni online in favore di un altro conto tedesco intestato alla piattaforma di scambio di bitcoin, pone in essere un investimento di profitti illeciti in operazioni finanziarie idonee ad ostacolare la tracciabilità e la ricostruzione della dinamica delittuosa del denaro.

Infatti, nonostante il D.Lgs. n. 90/2017  attuativo della IV Direttiva Antiriciclaggio, i meccanismi di controllo dettati non hanno potuto evitare l’impiego delle criptovalute nel cosiddetto darkweb .

Dunque, per la Corte di Cassazione, la moneta virtuale non può essere esclusa dall’ambito degli strumenti finanziari ai fini di una corretta lettura dell’art. 648 ter.1 c.p.

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Responsabilità medica: la prescrizione dell’azione di risarcimento del danno decorre dal momento in cui si ha percezione della malattia – Nota a Cass. 29760/2022

responsabilità medica

Dott.ssa Rossella Di Martino

Sintesi:

La Corte di Cassazione, con recentissima sentenza n. 29760/2022 ha dichiarato che la prescrizione dell’azione risarcitoria decorre dal momento in cui il paziente ha percezione della malattia e non da quando essa si aggrava.

Il fatto:

Un paziente, a seguito di un grave sinistro stradale, viene sottoposto ad alcuni interventi chirurgici e, durante il primo intervento, i medici gli provocano una lesione neurologica invalidante che rende necessario il secondo intervento.

Pertanto il paziente, così, cita in giudizio l’ASL per chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dalla condotta negligente dei sanitari.

Il giudice di prime cure rigetta la domanda ritenendo decorso ormai il termine di prescrizione per chiedere i danni: risalendo infatti la prima lesione all’intervento del 1991.

Nel formulare il ricorso per Cassazione, il paziente contesta l’omessa motivazione su un fatto decisivo e la falsa applicazione del principio riguardo la normale diligenza dell’uomo medio.

La Corte di Cassazione avrebbe errato nell’individuazione del termine di decorrenza poiché avrebbe mal valutato la documentazione medica prodotta.

La Corte di Cassazione, però dichiara inammissibile il mezzo di gravame ribadendo il principio secondo cui “il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità medico-chirurgica decorre, a norma dell’ articolo 2935 c.c. e dell’ articolo 2947 primo comma c.c. dal momento in cui la malattia viene percepita o può esserlo con l’uso dell’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo.”

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D.L. 162/2022: l’ergastolo ostativo dell’ordinamento penitenziario nella Riforma Cartabia

D.L. 162:2022- l’ergastolo-ostativo

Dott.ssa Rossella Di Martino

Recentemente, in data 31 Ottobre 2022, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.L. 162/2022 recante due provvedimenti penali necessari ed urgenti in tema di ergastolo ostativo e di vatatio legis.

Il decreto legge si compone di sei articoli: i primi quattro precisano alcune disposizioni della legge sull’ordinamento penitenziario (artt. 4-bis, 21 e 30-ter) e sulle leggi complementari (D.L. n. 152/1981 e L. n. 646/1982) in materia di concessione di benefici a detenuti e internati non collaboranti, tema che coinvolge reati gravi legati ai fenomeni associativi.

L’ergastolo ostativo esclude da benefici come la liberazione condizionale, il lavoro all’esterno, i permessi premio e la semilibertà i detenuti condannati all’ergastolo per una serie di reati che non collaborino con la giustizia: che non diventino, quindi, “pentiti”.

Secondo le cifre fornite dal Garante Nazionale delle persone private della libertà nel 2021, in Italia i detenuti per reati ostativi sono 1.259, il 70 per cento degli ergastolani totali.

In pratica, le persone detenute che scontano un ergastolo “normale” sono una netta minoranza e proprio per questo motivo la Corte Costituzionale aveva sollecitato il Parlamento affinché intervenisse per disciplinare, anche a fronte degli orientamenti della CEDU.

L’orientamento del governo Meloni è piuttosto chiaro: l’ergastolo ostativo va mantenuto.

Il decreto legge stabilisce che non sia però la collaborazione del detenuto l’unico strumento per accedere ai benefici di legge.

Per usufruirne, il detenuto dovrà dimostrare di aver aderito a specifiche condizioni, dovrà dimostrare di aver “adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna” o, se questo non sarà possibile, “dimostrare l’assoluta impossibilità di tale adempimento” allegando alla richiesta di usufruire dei benefici elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza”.

I detenuti per reati connessi all’associazione di stampo mafiosa, di scambio politico-elettorale di tipo mafioso, violenza sessuale, su minore e di gruppo, tratta illecita di migranti, traffico illecito di sostanze stupefacenti, induzione e sfruttamento della prostituzione minorile e pornografia minorile non potranno comunque essere ammessi alla liberazione condizionale se non hanno scontato almeno due terzi della pena, o almeno 30 anni in caso di condanna all’ergastolo.

Di fatto, il decreto legge non porta grandi modifiche per i detenuti sottoposti al regime dell’ergastolo ostativo quindi spetterà infatti ai detenuti l’onere di dimostrare il ravvedimento anche senza la collaborazione, rendendo così quasi impossibile accedere concretamente ai benefici penitenziari.

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Mantenimento dei figli: la loro Separazione, in alcuni casi ne rafforza il Legame – nota a Cass. n.ro 28676/2022

Mantenimento dei figli

Dott.ssa Rossella Di Martino

Sintesi

Per i giudici civili della Corte di Cassazione, affidare due fratelli ad un centro di accoglienza per poi dividerli tra i genitori, può rafforzare il loro legame preservando la loro crescita in maniera armoniosa ed equilibrata senza vedere operare la commistione di gravi tensioni genitoriali che danneggerebbero il clima sereno venutosi ad instaurare.

Il Fatto

Con Ordinanza n.ro 28676/2022 la VI sez. Civile della Corte di Cassazione ha avallato questa decisione.

Nel caso di specie, dopo il giudizio di separazione dei coniugi, si era disposto l’affidamento diurno dei figli minori ai servizi sociali sospendendo temporaneamente la responsabilità genitoriale ma la madre, in disaccordo con suddetta ordinanza, ricorreva in appello contestando l’assenza di presupposti per la scelta della sospensione di responsabilità genitoriale ai sensi degli artt. 8 e 9 CEDU della L. n. 176/1991 esistendo a suo dire soluzioni alternative.

Inoltre l’appellante invocava la violazione dell’ art. 330 c.c. e dell’ art. 333 c.c. essendo stata disposta la sospensione della responsabilità genitoriale della madre in assenza di presupposti di fatto e di diritto previsti dalle norme citate.

Orbene, la Cassazione afferma che i motivi del ricorso sono inammissibili perché la decisione della Corte d’Appello triestina non smentisce i principi fondamentali affermati dal legislatore e dalla giurisprudenza europea e nazionale.

La questione di affidamento della prole è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito il quale esprime un apprezzamento di fatto non suscettibile di censura in sede di legittimità e in questo caso la Corte ha deciso, sulla base di una motivazione argomentata e coerente, l’inidoneità di entrambi i genitori ad esercitare completamente la responsabilità genitoriale ed ha anzi seguìto la giurisprudenza in tema di affidamento temporaneo ai servizi sociali secondo il dettato degli articoli del codice civile, volti a superare la condotta pregiudizievole di uno o entrambi i genitori, agendo nell’interesse esclusivo dei minori.

Dunque, la sospensione temporanea della responsabilità genitoriale è stata decisa per favorire la crescita dei fratelli in un ambiente privo delle condotte scorrette portate avanti da entrambi i genitori e non è lesivo del diritto alla bigenitorialità.

In secondo luogo, i due fratelli non vedono leso il diritto alla fratellanza in quanto frequenteranno entrambi lo stesso centro diurno; anzi, in questo modo, si favorisce lo sviluppo di tale rapporto in un contesto estraneo alle violente conflittualità genitoriali inidonee a garantire ai figli una corretta crescita.

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Procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona e notifica della richiesta di revoca o sostituzione delle misure cautelari – Nota a Cass. 17156/2022

Dott.ssa Rossella Di Martino

Sintesi

Nei procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona, la richiesta di sostituzione o revoca della misura cautelare deve esser notificata presso il difensore della persona offesa oppure alla persona offesa.

Nel caso di decesso della persona offesa, invece, a norma dell’ art. 299 c.p.p. la notifica deve essere estesa ai prossimi congiunti o alla persona legata da una relazione affettiva e stabilmente convivente.

Orbene, secondo la Direttiva 2012/29/UE si individua l’esigenza di assicurare alla persona offesa – mediante la preventiva informazione – una maggiore protezione al fine di garantire l’interlocuzione con l’autorità giudiziaria attraverso un contraddittorio cartolare in merito all’oggetto della richiesta.

Il Fatto

Il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 15 gennaio 2021, aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’imputato, avverso l’ordinanza della Corte d’Assise di Napoli che aveva rigettato la sua richiesta di sostituzione della misura di custodia cautelare in carcere con una meno afflittiva allo stesso applicata per i reati di duplice omicidio pluriaggravato, detenzione e porto d’armi comuni da sparo ed occultamento di cadaveri.

L’appellante, però, non aveva notificato l’istanza ai prossimi congiunti delle persone offese/vittime del plurimo omicidio ed occultamento di cadaveri.

il Tribunale di Napoli ha ritenuto che dall’omessa comunicazione consegue la nullità del provvedimento adottato poiché la notificazione è sempre dovuta nonché obbligatoria anche quando l’istanza è fatta personalmente dalla parte interessata e perché non era stata rispettata la condizione relativa alla sussistenza del contraddittorio nei confronti dei familiari delle vittime.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza 17156/2022 hanno riconfermato che l’interesse ad impugnare sancito dall’ art. 568, co. 4  c.p.p. deve essere effettivo, individuato nella finalità negativa di rimuovere una situazione di svantaggio processuale.

Si deve poi annotare che la Suprema Corte ha ritenuto che l’art. 299, co. 4-bis  c.p.p. debba essere letto in relazione all’ art. 90-bis c.p.p. condividendo la medesima ratio ossia che i plurimi obblighi informativi o preliminari devono essere adempiuti nei confronti della persona offesa dal suo primo contatto con l’autorità procedente come anche un obbligo informativo preventivo verso la persona offesa gravante sulla parte richiedente la revoca o la sostituzione di una delle misure cautelari  applicate in procedimenti aventi a oggetto delitti commessi con violenza alla persona, in vista dell’esercizio da parte della persona offesa del suo diritto alla partecipazione alla vicenda cautelare e all’interlocuzione, anche con la presentazione di memorie.